giovedì 11 settembre 2014

9/11 Undicisettembre

M come Me. Undicisettembreduemilaeuno. Vivevo in America. Anche quel giorno ero lì. Inseguendo il mio sogno americano. Faceva caldo in Florida. Io abitavo lì. E faceva caldo anche a New York. Quella mattina ero a casa della mia amica M. Saremmo dovute andare al Mall. Per degli acquisti. Ma dovevamo pianificare un viaggio a Chicago e lavorare su date e dettagli. Stavamo bevendo caffè e chiacchieravamo di musica. Iniziò a suonare il telefono. Un continuo. Per cinque minuti. Ci stanno attaccando. Siamo sotto attacco. Chi? Come? Accendete la tv. Terroristi. World Trade Center. Hanno dirottato degli aerei. Statevene in casa. Per due giorni, da casa, non ce ne siamo più uscite. Sospese. Incredule. Non poteva essere vero. Lacrime. Emozione. Commozione. Molta. Non usavamo telefono e linea internet. Ci chiesero di non farlo. Eravamo terrorizzate. E non per finta. E non perché ci avessero messo paura. O ansia. Noi avevamo paura. Sotto quelle torri c'erano due dei migliori amici di M. Li avevamo incontrati solo quattro mesi prima. Ed io nelle Torri ci entrai per la prima volta. In quella primavera. Ed erano vivaci. Pieni di gente. Di ogni colore e di ogni nazionalità. Un fermento come quel quartiere della Grande Mela dove tutti si muovono veloci col caffé in mano. Quando andai c'era un cielo azzurro. Limpido. Non una nuvola. Iniziava a far caldo a NYC. E mi ricordo che l'aria condizionata era forte. E le Torri erano enormi. Infinite. Giagantesche. Impressionanti. Dominavano tutta Manhattan. Mi sdraiai. Sul marciapiede. Per poterle fotografare tutte. Stupende. Mi ricordo quel cielo. Riflesso sulle torri e i palazzi vicini così piccoli in confronto. Le notizie che ci giungevano quell'Undicisettembre erano di rimanere in casa. Scuole chiuse. Mall blindati. Nessuno esca. Non si telefoni se non si hanno parenti o amici in New York o sui voli. Non intasare le linee. Donate sangue, se potete. Ma come, noi stavamo così lontani da NYC. Che c'entra chiudere DisneyWorld ed ogni luogo pubblico? Tutto nel giro di poche ore fu chiuso. Ogni luogo di aggregazione evacuato e blindato. Cosa stava succedendo? La sensazione era terrificante. Eravamo sotto attacco. Credo che per chiunque fosse in suolo statunitense quell'Undicisettembre non se la scorderà mai quella sensazione. Non si avevano parole. Non si riusciva a piangere. Pensieri. Immobili. Terrorizzati. Non si sapeva che fare. E ci si è sentiti inermi. Tutto sembrava inadatto. Impensabile. Irriverente. Incapaci di reagire davanti ad una tale tragedia. Fermi. Non può essere vero. Chi? Perché? Quante parole si sono sprecate dopo. Ho visto terrore negli occhi del Presidente Bush ed incapacità di reagire in quella scuola della Florida. Un uomo pietrificato. Come ognuno di noi lì in quel giorno. Non sono americana. Ma amo l'America. Controversa fin che volete. Piena di difetti fin che volete. Ma un suolo dove convivono persone di qualsiasi nazionalità, origine, religione. E so che quel giorno morirono tremila persone. Civili. Padri. Madri. Fratelli e Sorelle. Amici di amici. Gente comune. Che lavorava. Che aveva salutato i loro figli e il loro paese. Centoquindici paesi per l'esattezza. Centoquindici nazioni erano rappresentate nelle Twin Towers. Com'è possibile non percepire e condividere quel terrore? Attaccarono un simbolo del Mondo. Uccidendo migliaia di persone provenienti da ogni parte del mondo, mettendo in ginocchio società che avevano sedi in tutto il mondo e cambiando il corso della storia per sempre. Per tutti. Per tutto il Mondo. Questo è l'Undicisettembre. Io so che c'era un prima. Per tutti. Dopo tutto è cambiato. Per tutti. E questo è il punto. Che sfugge. Nessun paese libero dovrebbe vedersi attacato. Privato della libertà di vivere. Io quegli attimi li ho assorbiti. Ero gelata. Mi ricordo che decidemmo di aprire le finestre. E spegnere l'aria condizionata. Ci saranno stati 35 gradi. Sentivamo freddo. Avevamo paura. Io ho avuto paura. Eravamo tutti sotto attacco. Tutti. Il messaggio era chiaro ma la sensazione provata era di quelle indescrivibili. M mi obbligò a telefonare a mia madre. Lei che era già madre mi obbligò a fare quella telefonata. Da noi in Italia erano le 5 del pomeriggio. Rispose mia mamma. Le dissi che da noi la situazione era surreale, ma che tutti noi stavamo bene. E aggiunsi, "credo". Mi disse che la stavano chiamando tutti. Per sapere di me. E parlava. L'ho interrotta. Le dissi ciao e che la linea doveva rimanere libera. E che stesse tranquilla. Io tremavo. Invece. Piangevo. La gente si buttava dalle finestre. A NYC. Pensavo a chi era su quegli aerei. Chi nelle Torri. Chi per strada. Gli sguardi fissi ad una diretta che era peggio della peggiore delle sceneggiature. Un'apocalisse. Viaggiavo spesso per gli Stati Uniti. Ma ero in Florida. A casa. Quell'Unidicisettembre. Gli aeroporti rimasero chiusi. Nessuno voleva più volare. Se chiudo gli occhi rivivo quei due giorni. Quelle ore. Quelle immagini. Perché la capacità di reazione non è stata immediata. Per nessuno di coloro che erano in America. Nessuno aveva voglia di mangiare. Di uscire. Di parlare. Di sorridere. Quello che stavamo vivendo sarebbe stato uno degli attacchi a civili più terrificante della storia recente. Ma noi sapevamo solo che non si sapeva. Molto. E nei nostri occhi solo le immagini. E il terrore. Stampato per sempre in noi. Sarei ritornata per trascorrere il Thanksgiving a New York. Avevo voli e programma già stabiliti. Prima di quell'Undicisettembre. Fort Lauderdale-NYC. Volo mezzo pieno. Nonostante tutto. Si ricominciava a vivere. Le Torri non le trovai più. Quel novembre dall'Empire si vedevano ancora le macerie. C'era movimento sul luogo dove una volta sorgevano le Torri. Ma non quel movimento che è vita. Si cercavano e si trovavano ancora cadeveri. O pezzi di persone dilaniate. Bruciate. L'aria era pesante. Nonostante gli americani e la loro voglia di sorridere. Di nuovo. E di sentirsi liberi. Come prima. Non era come qualche mese prima. Si sentiva gelo per il dolore. Ma anche il calore dell'abbraccio di una nazione più unità che mai. L'atmosfera surreale. NYC non era vivace ed allegra come sempre. Accogliente e illuminante però si. Consapevole. Ferita. Devastata. Ma con la volontà di voler ripartire. Di non lasciarsi distruggere. Di non farsi privare della sua libertà. C'è spazio per compatire gli americani e chiunque venga attaccato ingiustamente ieri oggi e domani. Non c'è limite alla compassione. Per tutti. Siamo stati testimoni inconsapevoli di un grande attacco terroristico ma anche di una fortissima volontà di reazione e di non farci togliere la libertà. Di continuare ad amare. A ricordare. A vivere. Comunque. E so che per ricostruire sopra delle macerie così pesanti ci vuole una gran forza. E che nessun terrorista potrà mai uccidere questa forza. Che è tutti noi. Indignati davanti a tanto male. E a tutti i mali. E ogni Undicisettembre sarà una data da ricordare. Rivivo quegli attimi. In Florida l'Undicisettembre non ci sono più voluta tornare. A me il terrore di quegli attimi mi riporta all'umido di quel settembre. Il caldo avvolgente e il gelo immobilizzante. E il silenzio assordante. Il tredicisettembreduemilauno io e M uscimmo la sera. Non girava nessuno per strada. Nessuno. Ci infilammo in un locale sull'oceano. Mezzo vuoto. Eravamo ancora senza parole. Ma sentivamo la necessità di staccare. Di riprendere in mano la realtà. E continuare. Si avvicinò la cameriera. How u doin? Ci guardammo in faccia. Fine, thanks. And you? Doin fine. What can I bring you Ladies tonite? Silenzio. 2 Apple Martinis please. Ce ne portò 6. Ci abbracciammo. E li bevemmo in silenzio. Di fronte all'oceano. #celapossofare #undicisettembre #torrigemelle #nyc #me #streetblogger #masme #marinam


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